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Volevo essere Madame Bovary

Editore: 
Einaudi
Luogo di edizione: 
Torino
Anno: 
2022


Recensione: 

Le donne, e una in particolare, ritornano al centro dello sguardo di Ibrahimi, che offre ancora una volta al pubblico italiano la possibilità di guardare da una prospettiva altra sia il paese con cui abbiamo molta storia in comune, l’Albania, sia se stesso, attraverso lo sguardo della protagonista, Hera Merkuri.

Hera è una donna inquieta e la sua vita ci viene raccontata a partire da una serie di flashback che esprimono la sua fame di esperienze che il paese in cui è nata non le offre, un paese descritto nelle sue luci e ombre, contraddizioni e paradossi presentati non senza ironia. Non è tuttavia un romanzo sull’Albania, poiché c’è certamente molta Albania ma c’è anche tanta Italia, dato che sono questi i paesi in cui la protagonista divide la sua biografia, così come si divide tra un uomo italiano, suo marito, e un uomo albanese, il suo amante e l’unico con cui decide di ritornare in visita al suo paese, tanti anni dopo la sua emigrazione.

Il romanzo offre moltissimi spunti di riflessione, a partire dal tema della condizione e dell’emancipazione femminili, raccontati a tratti con ironia e altre volte con amarezza: in uno dei flashback che raccontano l’infanzia della protagonista, leggiamo questo scambio con la nonna che vuole che la nipote impari a impastare:

"Nessun marito vuole a casa una donna che  non sa cucinare, - continua la nonna.

Cucinerà lui, - risponde Hera guardando con odio l’impasto venuto male.

Nonna Asmà scoppia a ridere.

Se le donne guidano i trattori perché gli uomini non possono cucinare? Nonna Asmà sospira.

Tu vuoi guidare un trattore da grande?

No, non ci penso nemmeno. Io da grande farò la cortigiana!

Senza un attimo di esitazione, la nonna le dà il mattarello sulla schiena. Se è disposta a mettere a rischio il matterello, vuol dire che ha detto qualcosa di grave.

Sono quei libri che ti permette di leggere tuo padre che ti stanno rovinando" (pp.50-51).

Hera, fin da piccola, ama infatti i grandi classici della letteratura in cui le sue eroine sono donne travolte dalla passione amorosa, da cui il titolo del romanzo medesimo, attitudine che dalla stragrande maggioranza non è ben accolta. Si distingue in effetti il padre della protagonista, figura maschile colta, non resa cieca dall’ideologia e ben cosciente che la liberazione della donna non passa attraverso i concorsi di bellezza che “il cambiamento epocale” del paese spaccia come occasioni di emancipazione e libertà. È emblematico di ciò il seguente passaggio:

"Sottoporre le proporzioni del tuo sedere al giudizio di una giuria, anche se la giuria è composta da scienziati e professori, non è certo un cambiamento epocale, e forse noi due non ci siamo mai capiti davvero.

Il cambiamento epocale va avanti senza di lei, lo portano sul palco altre ventiquattro ragazze. Per l’ennesima volta la sua famiglia le ha impedito di entrare nella storia. Lei però non ha fretta: aspetterà un’altra occasione" (p.98).

In un altro passaggio, questa volta ambientato in Italia, emerge come l’uguaglianza tra uomini e donne in Albania – imposta e, come si evincerà dal romanzo, purtroppo non interiorizzata - fosse guardata con ammirazione dall’altra parte dell’Adriatico, come emerge dallo scambio con la nonna di un’amica italiana della protagonista:

"Con questa cucivo i primi pantaloni quando nessuna donna in Italia osava portarli. Che strano, il mondo: per lei i pantaloni erano una costrizione del regime, per la nonna di Sabina una forma di emancipazione […]

E tu a chi cercavi di resistere, con i tuoi pantaloni? – chiede Hera.

Al patriarcato. Noi donne qui lottiamo da sempre per essere uguali agli uomini. Ascoltavamo radio Tirana e pensavamo che foste fortunate, portavate i pantaloni, per voi era fatta" (p.138).

Risulta questo, a parere di chi scrive, un esempio utile a mostrare la prospettiva duplice a cui frequentemente si fa ricorso per raccontare, senza banalizzare, dinamiche e cambiamenti culturali complessi.

I fili che attraversano il romanzo sono naturalmente molti altri, tra i quali privilegiamo quello della lingua madre, che Hera rifiuta di parlare per anni dopo aver lasciato l’Albania e che non insegna ai suoi figli e che tuttavia ritorna prepotente quando incontra colui che diventerà il suo amante. Risulta interessante tuttavia che ciò che può apparire una barriera, una distanza, incarnata dalle parole di suo figlio che le dice: “Non parlo la tua lingua” in realtà viene demolita subito dopo, quando leggiamo: “Loro due non avranno bisogno di nessuna parola. Il loro amore troverà un linguaggio suo” (p. 205): forse anche questo è un modo per invitarci a riflettere che i confini, anche quelli apparentemente insormontabili, si possono spostare.

 

 

Autore della recensione: 
Silvia Camilotti