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Carcere

Cesare Beccaria si è fermato davanti alla porta del carcere

Il rapporto tra pena, espiazione e rieducazione non è diventato ancora cultura diffusa

di Paolo Rella

Non è facile parlare di Beccaria agli studenti. Non è facile in una classe di ragazzi al diurno, dove devi valorizzare le loro opinioni anche quando ti dicono che Beccaria sbaglia e sbaglia di grosso, perché non c’è “estensione delle pena” che possa ripagare una persona dell’intero tempo della sua vita che le è stato tolto con la violenza, e che non esiste altro modo di pareggiare se non con la pena di morte. Oppure quando ammettono che sì, oggi tortura e pena capitale non sono di certo segni di civiltà, ma non per questo il carcere dev’essere un hotel a cinque stelle, perché “pena” significa pur sempre una sacrosanta sofferenza. Bisogna allora far loro intendere, che comunque la pensino, è con il ragionamento di Beccaria che ci si deve confrontare, con la novità del suo pensiero: la differenza fra peccato e reato, fra castigo e pena; la differenza fra offesa al singolo o alla collettività. Ma non è facile parlarne nemmeno in una scuola in carcere, e questo forse te lo aspetti di meno. Appena affronti il discorso ti sorprendi di provocare addirittura irritazione, come fossi arrivato lì a declamare loro, proprio a loro che sono in galera, le bellezze del nostro diritto, la praticità del nostro sistema giudiziario che si vanta di essere figlio del pensiero del grande Cesare Beccaria. Non c’è più moralismo nel giudicare? C’è proporzionalità tra reato e pena? Massima efficacia e minimo dolore? Ma bisogna avere una bella faccia tosta per sostenere una simile ipocrisia! Non è facile, una volta che lo hai scatenato, moderare il diluvio dei racconti delle loro sofferenze, delle angherie e delle umiliazioni che hanno subito e subiscono senza alcuna ragione. Devi riportare ognuna di queste dentro i punti di una mappa che scandisce la struttura argomentativa del pensiero di Beccaria, perché è solo così che lo scontro a poco a poco diventa confronto, e poi qualcosa via via sempre più simile a una trattazione. Alla fine rileggi e sì, devi ammettere che in effetti Cesare Beccaria si è fermato davanti al cancello del carcere, proprio dove finisce la via che porta il suo nome.