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Pensieri e parole

Quando le convinzioni personali contano di più della realtà concreta

La post verità e i migranti

di Verdiana Fronza

Si sente sempre più spesso parlare di un fenomeno chiamato post-verità, tanto che questa parola è diventata il sostantivo dell’anno 2016 secondo l’Oxford Dictionary. Ma che cos’è la post-verità? Essa è l’opinione che diventa fatto; sono tutte quelle affermazioni che prendiamo per vere di pancia, senza fare un controllo approfondito, perché vanno a colpire le nostre emozioni e a supportare le nostre convinzioni. Per fare un esempio, tutte le volte che Trump afferma che il cambiamento climatico non esiste, nonostante fatti scientifici dimostrino il contrario. Eppure, per tutti gli imprenditori che fanno affari con il petrolio, è molto più conveniente crederci. Purtroppo, come è facile immaginare, immigrazione e post-verità vanno di pari passo. Questo perché i fatti concreti sembrano non contare più: non fanno presa sulla coscienza della gente. Pochi prestano attenzione ai rapporti sull'economia della migrazione, come quello della Fondazione Leone Moressa, che dimostrano che nel 2015 i lavoratori immigrati hanno contribuito con l’8,8% al PIL italiano; ed è anche grazie al loro lavoro - spesso umile e pesante, che un italiano non vorrebbe fare, ma che in molti etichettano come “rubato” - che si pagano le pensioni. Vanno invece sempre più di moda le opinioni gridate in piazza o sui social media da politici che fanno della diffusione della disinformazione la loro missione. Ed ormai, invece di indignarsi di fronte a parole insensibili e razziste, ci sono sempre più persone che si uniscono al coro. Quello che funziona per queste notizie false è che, per molte persone, confermano pregiudizi più o meno velati, quello che sotto sotto si è sempre pensato, ed è per questo che vengono accettate come vere e, anzi, si vuole che lo siano. È una forma di conforto la conferma di avere ragione. E i produttori di falsità se ne approfittano per aumentare la loro visibilità. Parlano di “clandestini” alle terme o negli Hotel a 5 stelle, gridano all’invasione, generando una chiusura all’altro ancora maggiore e alimentando una rabbia sorda. Quindi, se i fatti provati non vengono ascoltati, forse le storie di quotidiana integrazione possono fare qualcosa di più. Come le emozioni negative impediscono alle persone di ragionare chiaramente, quelle positive possono aiutarle ad aprire gli occhi. Guardiamo al paese di Riace, in Calabria, abbandonato dalla popolazione locale e rinato grazie alla volontà di un sindaco e di alcune migliaia di migranti. O alla squadra Liberi Nantes, a Roma, composta da migranti e rifugiati, che sul campo, oltre a giocare a calcio, si batte contro la discriminazione. E questi sono solo i casi più famosi di un’integrazione possibile. Quella che allora propongo è una notizia vecchia, si potrebbe dire, ma che bisogna ricordare: coloro che fuggono dalle loro case, dai loro Paesi, lo fanno perché è impossibile sopravviverci, figuriamoci vivere con dignità. Sono vittime di guerre e di crisi economiche e ambientali che vanno fuori dalla portata delle loro scelte. Sono persone che aspirano a un futuro normale, tranquillo, come quello che a noi è stato garantito solo per la fortuna di essere nati “dalla parte giusta” del globo. Tenendo a mente tutto questo, è necessario praticare l’accoglienza quotidiana come forma di resistenza contro chi fomenta l’odio ingiustificato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PER SAPERNE DI PIÙ

“Nessuno in fuorigioco”, web reportage su Liberi Nantes

“La fine dei fatti”, The Guardian in L’internazionale, n.1195

Fondazione Leone Moressa http://www.fondazioneleonemoressa.org/