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Tripoli bel suol d'amore

Libia: tra interventi armati e interessi economici

Tripoli bel suol d'amore

di Maria Rosa Mura

Intervento militare in Libia, Areoporto Trapani Birgi, caccia Amx, droni predator armati, Sigonella, un migliaio di militari americani, Italia capofila: informazioni che rimbalzano da oltre Atlantico mentre in Italia è tutto un "Pare, forse, potrebbe" come diceva il comico Pier Francesco Loche, quando faceva il giornalista di "Avanzi". Proviamo però almeno a dire sottovoce la nostra opinione di persone che ancora credono nella Costituzione, perfino in quell'articolo 11, in cui L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Prima di tutto in Libia un intervento militare straniero non è stato richiesto da nessuno: ancora si leccano le ferite inferte dalla rivoluzione, dai danni fatti con i bombardamenti del 2011.

Ancora aspettano i fondi promessi dalla UE per ricostruire la flotta bombardata e per dotare di mezzi la guardia costiera. Anzi, in Libia ne sono molto preoccupati e restano piuttosto scettici sul fatto che truppe armate possano essere d'aiuto. Certamente una 'invasione', che tale in ogni caso sarebbe, porterebbe nuovi adepti al califfo. Nemmeno la nostra ENI, secondo il generale Fabio Mini, chiede protezione militare. Anche si volesse prescindere da questo ci sono altre argomentazioni che riguardano da vicino proprio gli italiani: per la storia che hanno avuto in comune con la Libia dovrebbero starne ben alla larga. Abbiamo partecipato al bombardamento del 2011 con un clamoroso voltafaccia rispetto all'uomo che poco prima era stato ricevuto con tutti gli onori, contro l'amico, anche se discutibile, dell'ora prima. Il nostro è stato un "contributo di primordine", anche se non si è riferito niente all'opinione pubblica per motivi di politica interna, come dice il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Militare, Generale di Squadra Aerea Giuseppe Bernardis, in un libro uscito l'anno seguente.

Se andiamo più indietro nel tempo vediamo che gli italiani si presentano in Libia con un esercito invasore e mire colonialiste, parole come "dura resistenza" e "rappresaglia" hanno significato tragedie difficili da dimenticare anche a tanti anni di distanza. La barriera di filo spinato non è un'invenzione recente - la ferocia di Rodolfo Graziani ancora agli inizi della sua 'carriera', la stese per 270 chilometri al confine con l'Egitto per impedire i rifornimenti a chi resisteva all'invasione italiana - nè le morti per deportazione e in campo di concentramento, una delle pagine più tragiche della Cirenaica e delle più nere del colonialismo fascista, attuata sempre da Graziani e sollecitata da Badoglio nel 1930/31. Entrambi in testa alla lista dei criminali di guerra chiamati a giudizio, in questo caso dall'Etiopia, ma che riuscirono a scampare una Norimberga italiana, grazie ad un clima incombente di guerra fredda, mentre gli italiani erano tutti autorizzati ad autoassolversi e dimenticare. Non sono invece fatti che i libici hanno dimenticato se ancora nel 2009 Gheddafi ce li rimproverava,

esigendone il risarcimento e presentandosi a Roma con appuntata sul petto la foto del Leone del deserto (titolo di un film che gli italiani non hanno mai potuto vedere in sala), quell'Omar al Muktar che i nostri governanti impiccarono, settantenne, nel 1931 ed è rimasto il simbolo della resistenza libica agli italiani.  Se la guerra ha troppi cosidetti 'danni collaterali', se gli italiani sono i meno indicati a mettere gli scarponi sul campo, ci sono altri modi per affrontare una situazione difficilissima? In ogni caso vanno cercati, non viviamo in un film western dove la reazione automatica, di fronte alle difficoltà, è metter mano alla pistola. Si potrebbe cominciare col togliere l'acqua di coltura a criminali e milizie armate: se è vero che gli affari del petrolio sono crollati e che ora i finanziamenti facili si fanno con i migranti, questa possibilità verrebbe eliminata da canali umanitari e legalizzazione di ingressi in Europa. L'Italia ha poi grandi interessi economici in Libia e con l'ENI una vera potenza sul campo, certo potrebbe far sentire la sua voce.

E più forte se non partecipasse a bombardamenti