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Pomodori rosso sangue

di Elisabetta Grigolli

In che condizioni lavorano i braccianti nei campi di pomodoro? Cos’è tacitamente legalizzato nella nostra Italia? Cosa dobbiamo sapere noi consumatori? Cosa possiamo fare?

Queste, alcune delle domande alle quali si è potuto trovare risposta nell’incontro “Cartolina da Nardò”, organizzato dalla collaborazione del Forum trentino per la pace e delle associazioni Oratorio S.Antonio e Libera Trentino. Ospite d’eccezione, Yvan Sagnet, la carismatica guida dello sciopero  del 2011 dei lavoratori stranieri impegnati nella raccolta di pomodoro nella masseria di Boncuri, a Nardò; correlatrice, Elisa Molinari della sezione trentina di Libera.

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Yvan è camerunense,  ha 29 anni ed è in Italia dal 2007. Come ci ha raccontato e racconta anche nel suo coinvolgente libro “Ama il tuo sogno”, ha scelto l’Italia come sede dei suoi studi universitari, folgorato ancora dall’età di 5 anni, al tempo dei Mondiali 90, dal calcio italiano. “Tutto quello che mi piaceva era italiano; tutto quello che era italiano, di conseguenza, acquisì ai miei occhi un valore aggiunto”. Così, a differenza dei suoi connazionali che sceglievano la Francia come luogo di studi, ha scelto in solitaria con una borsa di studio il Politecnico di Torino, dove si è laureato in ingegneria. Ma lungo il percorso, proprio per mantenersi agli studi, durante l’estate è sceso in Puglia nei campi di angurie e pomodoro, ignaro delle condizioni che avrebbe trovato e del fatto che da lì a quel momento la sua vita sarebbe stata stravolta. “Adesso che ci ripenso, fu come se una forza superiore mi stesse spingendo a Nardò quasi contro la mia volontà”

Yvan è un uomo mite, ma risoluto, dolce, ma una forza della natura; con pacatezza, parlando a braccio, in un italiano assai pregevole,  con lo stile di chi sa andare in fondo alle situazioni e alle informazioni,  ci racconta quanto ha passato, capito e quanto vede ogni giorno (attualmente lavora presso la Flai Cgil Puglia come coordinatore per l’immigrazione e percorre  molti km per incontrare i lavoratori stranieri).

Ci racconta che l’Italia che ha visto non è facile da credere. I centri di accoglienza stagionali per gli immigrati che intendono essere assunti nel lavoro migrante (da angurie,  pomodori, uva, mele, arance…) sono dispersi nelle campagne pugliesi, collegati da strade di non facile percorrenza. Si creano dei ghetti completamente isolati dal resto dei centri abitati: un bracciante non viene in contatto con i datori di lavoro, ma con i “caporali” dai quali viene ricattato perché da essi deve dipendere per soddisfare qualsiasi bisogno. Ed è della condizione di invisibilità dei lavoratori che approfitta il sistema.

Un sistema retto dalla mafia e conosciuto da tutti: le istituzioni, le forze dell’ordine, l’ispettorato del lavoro; mancano controlli, oppure i controlli sono annunciati. Manca lo Stato.

Ai lavoratori in regola i datori di lavoro spesso sequestrano i documenti per far apparire regolari altre persone. Il pagamento è a cottimo, perché il  contratto nazionale del lavoro agricolo non viene rispettato.

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Il riempimento di un cassone di pomodori da un quintale viene pagato 3,50 euro. Si lavora dalle tre di notte alle sei di sera. Si riempiono 6-7 cassoni, ma anche meno perchè la velocità dipende dall’esperienza.

Per raggiungere il campo di lavoro non ci sono mezzi pubblici e si è costretti ad utilizzare in 25 un furgone, a cui sono stati tolti i seggiolini. Mancano i finestrini e non si conosce geograficamente la destinazione. Per il trasporto si devono pagare 5 euro. E’ vietato portarsi  cibo, pena il licenziamento, ed il panino che vendono i caporali costa 3,50 euro, mentre un litro di acqua, 1 euro e mezzo. Nel campo ci sono 40°C, si lavora senza guanti e scarpe. Chi si ammala, per essere portato al pronto soccorso, deve pagare 10 euro. Al netto al giorno la paga è inferiore a 15 euro. 

Nella masseria raggiunta da Yvan nell’agosto 2011, erano  più di 500, soprattutto africani. Yvan, educato fin da piccolo all’importanze della cultura e dei diritti delle persone,  resiste fisicamente e psicologicamente a quattro giorni di lavoro nei campi e poi si fa anima della rivolta.

Lo sciopero trova il sostegno dei giornalisti, delle associazioni e della popolazione di Nardò. Fa avviare un’indagine della magistratura che ha portato nel 2012 all’arresto di 12 persone tra  datori di lavoro e caporali: processo con accusa di riduzione in schiavitù. Porta all’istituzione di una legge sul reato di caporalato.

Il  bellissimo fermento vissuto nel 2011 oggi però si è spento e la situazione nei campi è rimasta quasi inalterata. Yvan  Sagnet,  che è una persona che con coerenza si espone giornalmente, tutt’oggi riceve minacce.

Yvan ci parla di un’Italia che sente sua, ma che è inaccettabile. Un’ Italia che nel momento di crisi parla di crescita, ma dimentica di parlare di diritti delle persone, che non sono esclusivamente straniere.

Elisa ci racconta dell’esperienza dei beni confiscati alle mafie, dell’importanza di partecipare proprio lì nei campi di raccolta promossi da Libera, perché la presenza di persone e giovani in questi territori è la testimonianza che si può ripartire in modo diverso nella legalità ed è proprio  di queste presenze che ha paura la mafia. Illustra un’altra proposta concreta: promuovere una cultura etica di legalità tra noi consumatori, creando una rete di acquisto di pomodori coltivati nel pieno diritto dei lavoratori, a partire da quest’estate, aderendo al progetto in costruzione “Pomodori virtuosi”(chi fosse interessato ad informazioni ed acquisto può scrivere a lilligrigolli@alice.it ).

Noi consumatori possiamo creare una sensibilizzazione diversa. Se ora sono i supermercati a dettare il prezzo dei pomodori e ad ammettere la schiavitù, noi, se in tanti, possiamo fare pressione lungo tutta la filiera. Il percorso è lungo, ma come dice Yvan, la lotta deve partire dal basso.

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